Era messa male la povera Numero 1. Dopo due guerre mondiali, 2,5 milioni di chilometri percorsi e oltre 60 anni a presidio del Castello di Brescia, rischiava di fare una brutta fine. Nel 2022 è nata l’idea, dall’associazione Palcogiovani, di smuovere i cuori dei bresciani lanciano una raccolta fondi che ha superato i 60mila euro. Un primo passo importante non solo da punto di vista economico, ma anche comunitario. Un segnale lanciato concretamente da centinaia di persone e realtà del territorio per chiedere il restauro di questo simbolo.

Una richiesta raccolta dalla Loggia che ha messo i danari necessari al raggiungimento dei 170mila euro necessari per far partire le opere. Così lo scorso autunno la progioniera del falco è sparita sotto un tendone e il restauro è entrato nel vivo.

Dopo mesi di attenti lavori, oggi la locomotiva è tornata all’orginale splendore e potrà continuare la sua gloriosa storia quale parte integrande della comunità bresciana.

La storia della locomotiva

La locomotiva n. 1, uscita alla fine del 1906 dalle Casa delle Costruzioni Meccaniche di Saronno, attiva dal 1887 al 1918 e per decenni filiale italiana della Maschinenfabrik Esslingen AG, divenne operativa dal 1907 sulla tratta Brescia-Cremona passando per Iseo-Edolo-Rovato-Soncino. La N° 1 della Società Nazionale Ferrovie e Tranvie, “faceva parte di un ordinativo 0-3-0 di sette macchine a rodiggio con distribuzione sistema Allan realizzata dalle Costruzioni Meccaniche di Saronno” con il numero di fabbrica 284 e consegnata alla S.N.F.T. sul finire del 1906, anche se i dati disponibili la danno come immatricolata, unitamente alle altre sei unità, solo nel 1907.

A seguito dell’aumento del traffico e dell’estensione della rete ferroviaria, le locomotive del gruppo 1 vennero utilizzate per il trasporto passeggeri senza comunque disdegnare il loro impiego nel servizio trasporto merci. Successivamente al conflitto mondiale, l’attività della locomotiva proseguì fino agli anni ‘60. Con l’avvento dei mezzi diesel della Breda, il destino di dismissione della n° 1 sembrava segnato; sul finire del 1959 iniziò gradualmente la sostituzione dell’intero parco a vapore. Dalla seconda metà del 1961 la locomotiva già sostava sullo Scalo Merci F.S. di Via Dalmazia.

La determinazione di tutti i soci del Club Ferromodellismo Bresciano, costituitosi in quegli anni, e in particolare, come recita la cronaca locale, della signorina Dada Bruneri, resero possibile la “cessione formale” della Macchina della S.N.F.T. al Club, alla “simbolica cifra di 1 lira”, anche se a oggi non esistono documenti registrati che testimoniano tale passaggio. Alla determinazione del Club si aggiunse la disponibilità della ditta di trasporti eccezionali Besenzoni, che attuò l’impresa di portare la “Leonessa D’Italia” di 330 quintali, in Castello.

Il momento più delicato fu il passaggio sul ponte levatoio, opportunamente rinforzato e protetto, unitamente al portone d’ingresso, che subì una piccola modifica temporanea del rosone dell’inferriata superiore, per consentire alla locomotiva con il suo duomo di poter varcare la soglia del Falcone d’Italia. Per facilitarne il trasporto, la locomotiva venne privata della cabina, del fumaiolo, della cassa laterale destra dell’acqua e del complesso dei cilindri sul medesimo lato, rendendo più agevole il transito e le manovre.

Il 17 settembre 1961, dopo aver percorso ben 2.500.000 Km, venne inaugurato per volontà del sindaco Bruno Boni il primo monumento alla “locomotiva a vapore” e collocato nel piazzale del bastione San Faustino in Castello, in ricordo del lavoro e del sacrificio del popolo bresciano.
Nel 2007, per la prima volta dopo l’inaugurazione, si intervenne sul manufatto monumentale attraverso il consolidamento/sostituzione del basamento – costituito da un tratto di binario sopraelevato – e altri “interventi tampone” di ripristino delle superfici eseguiti “…dagli addetti delle ferrovie dello stato e dell’impresa Schiavone” così come recitava la targa apposta sul lato nord della cabina della locomotiva e oggi rimossa per restituire l’immagine originaria della locomotiva, grazie a un’attenta e puntuale attività di restauro filologico.

Il restauro

Nel 2022 l’Unità di progetto monumentale del Comune di Brescia, nella consapevolezza di poter restituire un bene monumentale particolare, unico e identitario della città di Brescia, ha iniziato un percorso progettuale, predisponendo la documentazione relativa a un intervento di pulizia e restauro, inviata alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Bergamo e Brescia, che ha rilasciato una specifica autorizzazione nel giugno 2022.

Considerata l’opportunità di evitare per quanto possibile la presenza di cantieri durante l’anno di Capitale della cultura, il percorso di intervento è stato ripreso nel 2024 con l’aggiornamento del progetto per il servizio di pulizia e recupero e la selezione della ditta affidataria con una necessaria specializzazione in grado di effettuare tale servizio. L’incarico di realizzazione è stato affidato alla ditta SOCEB srl di Brescia – Provaglio di Iseo, realtà del territorio bresciano esperta nel settore ferroviario.

Già in fase progettuale, di concerto con la funzionaria dell’Ente di tutela Silvia Massari, ci si è resi conto che la tipologia di manufatto, sicuramente particolare rispetto agli oggetti normalmente trattati in ambito monumentale, richiedeva la presenza di una professionalità esperta in merito alla conservazione e restauro di metalli applicati a beni tecnico-scientifici. Il Comune ha quindi affidato l’incarico di supporto al responsabile del procedimento per l’assistenza tecnico scientifica alla restauratrice Marianna Cappellina, Responsabile Conservazione e Restauro del Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano.

La progettazione è partita dall’analisi dello stato di degrado della locomotiva. Le indagini condotte in via preliminare hanno permesso di individuare, per quanto visibile, il degrado della superficie ferrosa, di quella lignea e delle vernici. I sondaggi effettuati sul lato nord della locomotiva, in particolare sulla cassa dell’acqua, sulla lanterna, sulle ruote, sulle bielle del rodiggio e sulle targhe, hanno sottolineato da un lato la presenza di numerosi strati di vernice nera e dall’altro la presenza di vari metalli come: il bronzo, per le targhe storiche, il rame, per le borchie delle lanterne anteriori, la ghisa e l’ottone (ora in evidenza) per le ruote.

L’utilizzo della vetroresina e di alcuni inserti in lamiera, utilizzati in passato per “tamponare” le lacune ossidative che si stavano evidenziando, ha peggiorato notevolmente la consistenza della lamina ferrosa. L’umidità, gli sbalzi termici, le infiltrazioni, hanno sollevato e rigonfiato lo stato protettivo, favorendo l’ossidazione con perdita di materiale, resa ancor più evidente durante la fase dell’idrosabbiatura, necessaria per bloccare ed eliminare il processo ossidativo in atto, facilitando la rimozione di porzioni consistenti di lamine totalmente ammalorate e irrecuperabili.

Soprintendenza

L’intervento di restauro della Locomotiva n. 1 è stato molto complesso dal punto di vista tecnico e il suo buon esito è stato possibile grazie alla convergenza di diverse competenze e la disponibilità al dialogo di tutte le parti coinvolte. Si è trattato davvero di un esempio virtuoso di collaborazione tra enti: il Comune in primis che ha messo tutte le proprie energie in questo progetto; la Soprintendenza che ha partecipato fornendo un orientamento all’intervento che, fin dall’inizio, si è pensato dovesse essere di tipo conservativo in senso stretto, decidendo di adottare, per il restauro di questo manufatto che non è di certo un bene artistico ma è un oggetto legato alla storia della tecnologia, gli stessi criteri e la stessa attenzione che vengono impiegati nel restauro dei beni artistici, dimostrando che tali modalità operative sono applicabili a qualsiasi tipologia di oggetto storico; il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano, nella persona della dott.ssa Marianna Cappellina, che è stata individuata dalla Soprintendenza come la persona più adatta ad occuparsi della direzione operativa di questo cantiere e che ha messo a disposizione le sue grandi competenze in materia di conservazione dei manufatti di questo tipo e infine la ditta SOCEB di Brescia che ha dimostrato grande disponibilità e competenza.

Questa tipologia di oggetti è entrata a far parte del gruppo di beni definibili come beni culturali, e quindi sottoposti a particolari disposizioni di tutela, abbastanza di recente. Fino all’entrata in vigore del Testo Unico del 1999 e del Codice Urbani nel 2004, la tutela del nostro patrimonio veniva esercitata dalle Soprintendenze secondo quanto disposto dalla legge 1089 del 1939 che includeva nei beni da tutelare solo le cose di interesse storico-artistico o archeologico. Già dagli anni Cinquanta però, con la redazione della Convenzione dell’Aja per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, il gruppo dei beni sottoposti a tutela iniziò ad ampliarsi comprendendo, per definizione, tutti i beni mobili e immobili di grande importanza per il patrimonio culturale dei popoli. Con la Commissione Franceschini, negli anni Sessanta, la definizione di bene culturale si modificò ancora includendo tutti i beni che costituiscono testimonianza materiale di civiltà. È grazie a questo percorso che oggi ci troviamo a discutere del restauro di una locomotiva a vapore, diventato monumento nazionale dopo più di cinquant’anni d’uso. La Locomotiva ci parla della storia del nostro territorio, in particolare della Val Camonica che ospitò la tratta percorsa da questo mezzo dai primi anni del Novecento alla fine degli anni Cinquanta. Fu un’infrastruttura fortemente voluta dai cittadini della valle, che vedevano nel nuovo mezzo tecnologico la possibilità di ridurre le distanze dal centro cittadino. Della faccenda si interessò molto, tra gli altri, Giuseppe Zanardelli, già dai tempi in cui era deputato locale. Prima della creazione della linea ferroviaria Brescia-Edolo erano necessarie fino a dodici ore per percorrere l’intera tratta che era servita, esclusivamente, da una diligenza trainata da cavalli. Con il nuovo mezzo a vapore su rotaie i tempi si ridussero a circa quattro ore. Quando nel 1961, per iniziativa del Club Fermodellismo Bresciano, si decise di trasformare la ormai vecchia locomotiva a vapore in un monumento dedicato alla tecnologia del passato, questa storia era ben nota, così come erano noti gli sforzi dei nostri nonni e bisnonni per ottenere ciò che oggi per noi è scontato. La Locomotiva n. 1 assume, in quest’ottica, un significato ulteriore rispetto a quello legato al suo essere un oggetto della tecnologia dei tempi passati, raccontandoci la storia di un popolo forte, in cerca di riscatto, di una società tanto diversa dalla nostra, che quelli più fortunati tra noi hanno avuto il privilegio di conoscere indirettamente, grazie ai racconti dei nostri anziani. Ecco come un oggetto della tecnologia può diventare un documento storico capace di evocare sentimenti ed emozioni profonde per chi ne conosce la storia, una storia che ci si augura continui ad essere raccontata ai bambini davanti alla Locomotiva del Castello.

Il presupposto di ogni restauro è il riconoscimento del bene oggetto d’intervento come bene culturale, si rende quindi sempre indispensabile conoscerne preventivamente la storia e valutarne il valore prima di procedere. Se si acquisisce questa sensibilità si riesce facilmente a comprendere come la finalità di un intervento di restauro non sia quella di riportare l’oggetto “all’antico splendore”, come spesso si legge sui giornali, ma piuttosto quello di conservare al meglio quanto dell’oggetto è giunto fino a noi, compresa la sua storia, con grande rispetto delle cicatrici che il tempo ha posto sulla materia, perché sono proprio queste che ci parlano di quanto è accaduto.

Museo Leonardo da Vinci

Il restauro della locomotiva storica di Brescia ha rappresentato un intervento tecnico e metodologico complesso, fondato sul riconoscimento del valore culturale del bene. Non un semplice “recupero estetico”, ma un atto consapevole di conservazione scientifica applicata a un oggetto tecnico-industriale.

L’approccio ha trasferito i principi del restauro “artistico” — reversibilità, minima invasività, riconoscibilità — al contesto dei beni tecnico-scientifici. Si è evitata la sostituzione arbitraria: ad esempio, le lastre metalliche non sono state raddrizzate ma integrate, i perni ricostruiti con fedeltà, le vernici selezionate per equilibrio tra resa estetica storica e durabilità contemporanea. Ogni intervento è stato documentato e calibrato, incluse le strutture interne reversibili come le reti metalliche o la vasca posteriore di raccolta acqua. Il progetto metodologico, richiesto dalla Soprintendenza e sviluppato nell’ambito delle azioni dell’Osservatorio sul Patrimonio Scientifico e Tecnologico del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia, ha evidenziato l’importanza di un dialogo interdisciplinare tra tecnici, storici e progettisti, e ha reso la locomotiva un documento vivo della storia della tecnica e dell’identità collettiva urbana.