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Fare impresa o anche semplicemente lavorare nel Regno Unito a partire da oggi, primo gennaio 2021, potrebbe non essere così semplice come è stato sinora. Con la fine della libertà di circolazione delle persone infatti, uno dei pilastri fondanti dell’Unione europea, cesserà automaticamente il diritto di lavorare nel Paese per i cittadini europei, italiani inclusi. Se da un lato questa “ratio” era stata voluta per fermare l’arrivo di manodopera poco qualificata proveniente dal Continente, dall’altro questo avrà l’inevitabile effetto di rendere più difficile operare professionalmente nel Regno per qualsiasi cittadino, indipendentemente dalle proprie qualifiche e dal proprio capitale. A partire dal primo gennaio infatti, per lavorare nel Paese occorrerà un visto lavoro, che si potrà ottenere raggiungendo almeno 70 punti nel nuovo sistema predisposto dal governo di Londra. Di questi, 50 saranno “non negoziabili”, ottenibili attraverso prova di “competenze adeguate” (per alcune professioni si richiede un dottorato di ricerca), conoscenza della lingua inglese certificata e offerta di lavoro, e 20 invece saranno “negoziabili”, tra cui il livello di “bisogno” o meno di determinate professioni nel mercato britannico e il salario percepito (idealmente superiore alle 25 mila sterline all’anno, circa 28 mila euro netti).

Ma anche recarsi nel Paese per un tour musicale o artistico (si pensi ad esempio ad un gruppo, o una compagnia di danza) diventerà più complesso, dato che anche in questi casi servirà ottenere un visto di lavoro. La stessa regola si applica agli imprenditori che verranno nel Regno Unito per fiere, mostre ed esibizioni: se sarà permesso visitarle con semplice visto turistico (che permette una permanenza nel Paese per 90 giorni), non sarà comunque possibile concludere affari, firmare contratti o fare scambi di qualsivoglia natura in mancanza di un visto per affari o un visto lavoro. Per quanto riguarda il commercio di beni invece, nonostante sia stato scongiurato il pericolo di dazi doganali che si sarebbe presentato nel caso di un mancato accordo, non vi saranno tasse di importazione o quote, ma è abbastanza possibile che la reintroduzione dei controlli alla frontiera creerà ulteriori oneri amministrativi per le imprese, e inevitabilmente tempi più lunghi. La necessaria burocrazia aggiuntiva, per alcune di esse, potrebbe rendere necessaria l’assunzione o la consulenza di esperti in materia di logistica ed esportazioni.

Una questione a parte riguarda invece per il riconoscimento delle qualifiche professionali. Una delle mancanze maggiori riconosciute nell’accordo commerciale post-Brexit riguarda l’assoluta assenza di qualsiasi previsione riguardante il riconoscimento delle qualifiche professionali. A partire dal primo gennaio terminerà il regime di riconoscimento reciproco attualmente in vigore tra Regno Unito e Ue, il quale consente a professionisti come medici, avvocati, architetti o ingegneri di operare e liberamente fornire servizi in tutta l’Unione. Questo vorrà dire che i professionisti che vorranno offrire servizi (come ad esempio consulenze) nel Regno Unito dovranno munirsi del titolo professionale britannico, il ché potrebbe tradursi nel dover superare nuovamente un esame abilitativo, questa volta in un Paese estero. Un problema analogo riguarderà i diritti di spostamento di mezzi di trasporto all’interno dell’Unione europea. Per quanto riguarda il trasporto aereo, diverse compagnie (tra cui Wizz Air, Ryanair ed EasyJet) hanno preso provvedimenti affinché i propri consigli di amministrazione allargati fossero costituiti a maggioranza da membri Ue estromettendo i propri membri britannici, dato che il diritto Ue prevede che solo compagnie a maggioranza europea possano gestire tratte interne all’Unione. Per quanto riguarda il trasporto ferroviario, le licenze rilasciate dal Regno Unito alle aziende operanti nel settore non saranno più valide nell’Ue, e viceversa, e lo stesso varrà per gli operatori di trasporto su strada. Quest’ultimi non potranno quindi più beneficiare del diritto di accesso automatico, e dovranno fare domanda di licenza presso le autorità europee o britanniche per continuare ad operare tratte tra Regno Unito e Unione europea.

Altro settore che subirà notevoli mutamenti è quello dei servizi finanziari, uno dei grandi esclusi dall’accordo commerciale. A causa della mancanza di qualsiasi previsione anche in tale ambito, istituti bancari, assicurazioni, fondi pensione e altri operatori finanziari britannici non potranno operare in alcun modo nell’Unione europea (e viceversa), a meno che questi non aprano una filiale in territorio Ue e richiedano apposita autorizzazione all’Autorità bancaria europea. Questo, nelle scorse settimane, ha causato l’immediata terminazione della maggior parte dei conti bancari presso banche britanniche intestati a cittadini britannici residenti in Ue, ed è plausibile ipotizzare che una simile soluzione possa essere adottata per i cittadini Ue residenti nel Regno Unito. Il ministero dell’Economia italiano tuttavia ha deciso che vi sarà un periodo di transizione che permetterà agli operatori britannici di continuare a fornire servizi in Italia per un periodo limitato. © Agenzia Nova