La Lombardia ha limitato irragionevolmente la libertà di culto con la legge ‘anti-moschee’. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con una sentenza relativa agli spazi per le moschee e altri luoghi religiosi.
Secondo la Consulta, la libertà religiosa garantita dall’articolo 19 della Costituzione comprende anche la libertà di culto e, con essa, il diritto di disporre di spazi adeguati per poterla concretamente esercitare. Pertanto, quando disciplina l’uso del territorio, il legislatore deve tener conto della necessità di dare risposta a questa esigenza e non può comunque ostacolare l’insediamento di attrezzature religiose.
La Corte costituzionale ha accolto quindi le questioni sollevate dal Tar Lombardia e ha annullato due disposizioni sui luoghi di culto introdotte nella disciplina urbanistica lombarda (l. 12/2005) dalla legge regionale della Lombardia n. 2 del 2015 (nota alle cronache come legge ‘antimoschee’).
I giudici hanno fatto riferimento al carattere assoluto della norma, che riguardava indistintamente tutte le nuove attrezzature religiose a prescindere dal loro impatto urbanistico, e al regime differenziato irragionevolmente riservato alle sole attrezzature religiose e non alle altre opere di urbanizzazione secondaria. In base alla seconda disposizione dichiarata incostituzionale (articolo 72, quinto comma, secondo periodo), inoltre, il Par poteva essere adottato solo unitamente al piano di governo del territorio (Pgt).

Secondo la Corte, questa necessaria contestualità e il carattere del tutto discrezionale del potere del Comune di procedere alla formazione del Pgt rendevano assolutamente incerta e aleatoria la possibilità di realizzare nuovi luoghi di culto. Le norme censurate hanno sancito i giudici costituzionali, finivano così per determinare una forte compressione della libertà religiosa senza che a ciò corrispondesse alcun reale interesse di buon governo del territorio.