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La sentenza della Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza di appello che, nella causa intentata dai signori Nava e Paroli, aveva dato ragione al Comune e respinto le domande risarcitorie e inibitorie, accolte invece nella sentenza di primo grado del Tribunale di Brescia.

Il giudizio, che quindi non è definitivo, dovrà dunque essere riassunto davanti ad un’altra sezione della Corte d’Appello di Brescia.

La Cassazione ha rilevato innanzi tutto che vi è legittimazione passiva del Comune, proprietario della strada da cui provenivano le immissioni (i fatti risalgono al 2012), quando il privato domanda in giudizio la tutela del diritto alla salute, del diritto alla vita familiare e della proprietà, perché la pubblica amministrazione è comunque tenuta al rispetto del principio del neminem laedere (non danneggiare nessuno) e quindi può, in astratto, essere condannata sia al risarcimento del danno, sia ad un’azione idonea a ricondurre le immissioni di rumore alla soglia della normale tollerabilità.

Quindi, la Corte d’Appello del rinvio, dovrà nuovamente pronunciarsi sulle domande dei cittadini, alla luce dei principi affermati dalla Cassazione e cioè:

  • Valutare a fini risarcitori quali regole tecniche o canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni il Comune abbia violato nel caso di specie (motivare in ordine alla colpa generica del Comune, esclusa la responsabilità oggettiva).
  • Provvedere eventualmente a ordinare interventi idonei ed esigibili, al fine di limitare le immissioni rumorose, escludendosi ovviamente ordini che implichino la determinazione delle modalità di esercizio di poteri discrezionali.

In sostanza, si riapre integralmente il giudizio di secondo grado, in cui il giudice dovrà valutare quale sia stata la condotta colposa del Comune nella gestione della strada demaniale ed eventualmente quali interventi siano eseguibili sul bene, al fine di ridurre il rumore. Tenuto conto di altri precedenti di merito (ad esempio a Torino), la sentenza della Cassazione ha il pregio di delimitare l’oggetto del giudizio e il perimetro dei poteri di condanna del giudice ordinario.