“Ti faccio a pezzi e non ti trova più nessuno”. Una minaccia reiterata, che potrebbe andare ad appesantire la posizione dell’imputato, Abdelmjid El Biti, accusato della scomparsa della sua ex moglie Souad Alloumi e del suo omicidio.

La prima udienza del processo contro El Biti si è tenuta ieri davanti alla Corte d’assise presieduta da Roberto Spanò. Sono stati interrogati diversi testimoni, quelli dell’accusa: familiari, investigatori, amiche della donna scomparsa, che secondo l’accusa appunto, è stata poi uccisa.

A rendere ancor più solido l’impianto accusatorio, è quanto riferito da più di un testimone voluto dal pm Maria Cristina Bonomo. Souad infatti, aveva confidato in più di un’occasione di quella minaccia, quel rischio di morire e sparire per sempre che gli sarebbe stato prospettato dall’ex marito, oggi imputato.

Pesantissima poi, la testimonianza dell’amica di Souad che lavorava al bar “Le Rose”, nelle vicinanze dell’abitazione della donna marocchina, in via Milano. L’amica dice che El Biti la maltrattava, Souad doveva andare dai vicini per chiedere di poter accedere al wi-fi per mettersi in contatto con i genitori in Marocco. Lui non accettava che lavorasse, non voleva fosse autonoma.

Ciò che più conta sulla base della testimonianza è che lui le avrebbe detto “ti uccido”, e inoltre, è stato riferito in aula, la pedinava. Drammatica infine, la testimonianza della sorella della vittima, che riporta alla luce come Souad parlava spesso di quella cosa, delle violenze che subiva dal marito. Dopo la separazione non si sarebbe mai allontanata dai familiari, non avrebbe mai lasciato i bambini da soli.