L’Istat suona il campanello d’allarme sul numero di imprese che potrebbero non riprendersi dallo choc del coronavirus, con evidenti riflessi anche sul mercato del lavoro. Parlando in audizione al Senato sul Pnr, il direttore della produzione statistica Roberdo Monducci ha spiegato che il mercato del lavoro in Italia ha segnato “tre mesi consecutivi di cadute congiunturali”, un trend non fortissimo ma “persistente” che ha generato “un calo del mercato del lavoro di circa 500.000 occupati dall’inizio della pandemia”.

Monducci, citando le indagini a disposizione, ha aggiunto che “oltre un terzo delle imprese” ha denunciato fattori economici ed organizzativi che mettono a rischio la sopravvivenza, rilevando un rischio per la sostenibilità dell’attività da qui a fine anno”.

Nel dettaglio, l’analisi dell’impatto dalle misure di contenimento dell’epidemia sul sistema produttivo mette in evidenza numeri preoccupanti: solo il 32,5% delle imprese (48,3% degli addetti, 54% del valore aggiunto) ha dichiarato di avere potuto operare durante il lockdown, mentre il 43,8% (26,9% degli addetti, 21,2% del valore aggiunto) ha dovuto sospendere la propria attività almeno fino al 4 maggio. E’ stato colpito il 49,1% delle imprese più produttive.

Davanti alle Commissioni bilancio, l’Istat ha potuto rimarcare: “La crisi sulle imprese è stata di intensità e rapidità straordinarie, determinando seri rischi per la sopravvivenza: il 38,8% delle imprese italiane (28,8% dell’occupazione, 3,6 milioni di addetti, 22,5% del valore aggiunto, circa 165 miliardi) ha denunciato l’esistenza di fattori economici e organizzativi che ne mettono a rischio la sopravvivenza nel corso dell’anno”. Meno vulnerabili le imprese presenti sui mercati internazionali: il 28,5% di esportatori prevede gravi rischi nel breve periodo; il 27% nel caso di unità a elevata propensione all’export o che vendono su più mercati, il 21% nel caso di chi esporta nell’Ue e nell’extra-Ue, fino al 15,5% nel caso di imprese esportatrici appartenenti a un gruppo multinazionale.

La ragione del rischio chiusura, secondo quanto riporta Repubblica, è semplice: stop agli affari. L’elevata caduta di fatturato (oltre il 50% in meno sul 2019) che ha riguardato il 74% delle imprese e dal lockdown (59,7% delle imprese) è infatti la prima voce di rischio. I vincoli di liquidità (62,6% delle unità a rischio chiusura) e la contrazione della domanda (54,4%) costituiscono gli altri principali motivi, i vincoli di approvvigionamento lato offerta sono un vincolo più contenuto (23%).

Una stima dell’impatto del lockdown sulla liquidità di circa 800mila società di capitale italiane (quasi la metà dell’occupazione e il 70% del valore aggiunto) indica che all’inizio della fase di riapertura (fine aprile) quasi due terzi delle imprese (circa 510mila) avevano liquidità sufficiente a operare almeno fino a fine 2020, mentre oltre un terzo sarebbe risultato illiquido o in condizioni di liquidità precarie.