Le accuse sono pesantissime: detenzione e porto in luogo pubblico di armi, anche da guerra come bombe a mano, con l’unica finalità di uccidere con un attentato dinamitardo. Il tutto si è svolto all’interno di un costesto ‘ndranghetista ed è stato stroncato dalla Procura di Brescia alle prime luci dell’alba quando si è chiusa con cinque arresti l’operazione denominata “Tabacco selvatico”.

In campo Carabinieri e Guardia di Finanza che erano sulle tracce di questi individui dal maggio dello scorso anno dopo il sequestro di 42 tonnellate di tabacco del valore di circa 8 milioni di euro e di macchinari per la lavorazione del tabacco e il confezionamento di pacchetti di sigarette, effettuato dal Gruppo Guardia di Finanza di Brescia e dalla Compagnia Carabinieri di Verolanuova.

Quel sequestro ha però aperto una lunga e difficoltosa indagine anti mafia fra il nord Italia e la Calabria. A luglio 2020 era stata arrestata una persona per ususra, mentre pochi giorni dopo era stato ritrovato l’arsenale formato da una boma a mano di costruzione jugoslava, una pistola Glock rubata e un’altra semiautomatica priva di matricola. Sempre nell’agosto 2020 due persone erano state arrestate per aver importato illegalmente 57 tonnellate di tabacco con evasione fiscale per circa 600mila euro, a cui si è aggiunto anche il possesso di armi da guerra. Un ulteriore arresto è stato effettuato una manciata di giorni dopo in Slovenia per le stesse ragioni. Nel settembre 2020 è stata effettivamente ritrovata la bomba a mano.

Il tutto è architettato da una famiglia della ‘ndrangheta con base nella provincia di Reggio Calabria e l’obiettivo dell’attentato era un soggetto pregiudicato, di origine calabrese, residente in un’altra provincia del Nord Italia, in passato legato a quella stessa compagine criminale.

Oltre ai cinque arresti avvenuti a Brescia, Flero, Nuvolera, Vibo Valentia e Reggio Calabria, le divise hanno effettuato 27 perquisizioni a Brescia e provincia, a Verona, Bergamo, Lucca e Ferrara. Secondo gli inquirenti alcuni dei soggetti coinvolti erano in tutto e per tutto già da tempo inseriti nel contesto economico di Brescia, ma mantenevano stretti legami con il clan di origine. Proprio partendo da Brescia avevano organizzato l’attentato figlio di vecchie faide nei confronti dell’ex alleato.