Brescia Attiva torna ad attaccare la propria maggioranza dopo la decisione di confermare l’attuale sistema dei raccolta rifiuti, giudicando la scelta poco motivata e comunicata in anticipo rispetto ai passaggi istituzionali previsti. Il gruppo parla di un processo “svuotato di trasparenza” e segnala come, dopo due anni di analisi e consulenze esterne, manchino ancora risposte su aspetti tecnici ed economici ritenuti fondamentali.
Nel documento diffuso dall’associazione viene richiamato anche il dato sulla Qualità della vita, che colloca Brescia al 25° posto per raccolta differenziata: una posizione considerata discreta, ma inferiore a quella di città simili come Bergamo, Mantova, Parma e Trento.
Brescia Attiva elenca quindi una serie di nodi irrisolti, a partire dagli obiettivi: la città è oggi al 68,5% di differenziata, mentre la normativa impone di raggiungere l’83%. La lista chiede quale strategia permetterà di colmare il divario e quali indicatori di risultato verranno fissati per il gestore del servizio.
Tra i punti segnalati c’è l’assenza di un piano di educazione ambientale, ritenuto decisivo nelle città che hanno ottenuto reali miglioramenti, e la valutazione giudicata marginale dei carrellati condominiali, soluzione che secondo l’associazione potrebbe aumentare efficienza e semplificare la vita ai residenti.
Il documento richiama anche parametri chiave della normativa europea: la produzione di rifiuto residuo, oggi pari a 110 kg pro capite con un obiettivo di circa 73; la qualità delle frazioni raccolte; e la quota effettivamente riciclata, con uno scarto del 15%. Brescia Attiva chiede perché questi elementi non siano stati inclusi nella valutazione tecnica.
Dubbi vengono espressi anche sulle simulazioni di costo, considerate troppo lineari, e sulla scelta di non rendere pubblici i dati sui conferimenti ai cassonetti con calotta. Restano inoltre le incertezze sulla tariffazione puntuale, ritenuta difficilmente applicabile mantenendo l’attuale sistema stradale.
Secondo Brescia Attiva, senza risposte puntuali il rischio è quello di conservare costi elevati e ottenere benefici modesti. L’associazione cita l’esperienza di città come Bergamo, Mantova, Parma e Trento, che con modelli domiciliari più strutturati avrebbero raggiunto risultati ambientali migliori e una maggiore soddisfazione dei cittadini.













































